Trigger warning nei video chirurgici: tutela o attira click?

In passato, tra le mie mansioni lavorative c’era anche quella di trascrivere l’audio di alcuni video che mostravano dettagliatamente un medico impegnato in un’operazione chirurgica. L’unico modo per svolgere il mio compito era guardare quei filmati. In certi casi avrei voluto sapere in anticipo cosa stavo per vedere. Eppure, sono certa che se così fosse stato avrei relegato il lavoro a un collega oppure sarebbe scattato in me un istintivo meccanismo di difesa, una sorta di stato di allerta come di fronte a un pericolo.

Una volta terminata la trascrizione, il video veniva pubblicato online e iniziava con un avviso del tipo: “Attenzione, il video contiene immagini forti non adatte a un pubblico sensibile.

Un trigger warning. Tutti avvisati, tranne me.

Ma cosa significa esattamente trigger warning?

Trigger warning

Trigger warning


Il Cambridge Dictionary lo definisce così:

A statement at the beginning of a piece of writing, before the start of a film, etc., warning people that they may find the content very upsetting, especially if they have experienced something similar: Trigger warnings are supposed to protect people from post-traumatic flashbacks.”

In altre parole, il trigger warning è un avviso che serve a ridurre il rischio di riattivare sintomi da disturbo post-traumatico (PTSD) in chi ha vissuto esperienze dolorose e traumatiche simili a quelle che sta per guardare.

Fatto questo chiarimento, mi chiedo: i video dettagliati di operazioni chirurgiche servono davvero ai pazienti? E, se sì, un alert è davvero utile per proteggerli, considerando che sono loro stessi a cercare quei contenuti?

Credo che la risposta sia più complessa di quanto possa sembrare.

Se una persona si informa su un intervento per l’alluce valgo o per il dito a scatto, per esempio, forse non ha bisogno di vedere ogni fase dell’operazione, le basterà comprendere in cosa consiste e come potrà migliorare la qualità della sua vita.
Diverso è il caso di chi ha già una data fissata per l’intervento e desidera sapere e vedere cosa accadrà. In questo caso, chi digita su YouTube “operazione dell’alluce valgo” o “sostituzione del cristallino” sa perfettamente cosa troverà — anzi, vuole vederlo. Difficile pensare che ne resti scioccato.

Quindi, un trigger warning serve davvero a chi cerca volontariamente questi contenuti?
Ancora una volta, dipende. Il discrimine, a mio avviso, è l’intenzione con cui si accede al contenuto, perché cercare consapevolmente un video chirurgico non è la stessa cosa che imbattersi per caso in immagini cruente.
Un po’ come chi va al cinema per vedere un film di Dario Argento: non ne esce traumatizzato dalla paura, perché quella paura la desiderava. Allo stesso modo, un paziente che guarda un’operazione chirurgica lo fa per curiosità o preparazione, non per caso.

A questi interrogativi, si aggiunge la riflessione data dall’esito di uno studio condotto per la rivista Clinical Psychological Sciences e pubblicato su National Library of Medicine che ha rilevato un fenomeno chiamato “effetto del frutto proibito”: le persone tendono ad accedere con maggiore frequenza a contenuti che riportano un trigger warning. In altre parole, l’avviso stesso aumenta la curiosità e spinge a cliccare.

Da qui, l’ipotesi che questo tipo di avvertenza venga usata proprio per accrescere l’interazione e aumentare i click, piuttosto che per tutelare davvero l’utente.

In definitiva, i trigger warning nascono con un intento protettivo, ma il loro effetto dipende dal contesto e dalle motivazioni di chi guarda. Forse non sempre servono a difendere, talvolta attraggono; non sempre proteggono, a volte amplificano. Come molti strumenti comunicativi, ciò che fanno davvero dipende da come — e da chi — li usa.

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