Il paziente esperto: insegna la malattia ai medici, la racconta al passato favorendo la richiesta di cure

Ultimamente ho la sensazione che siano aumentate le iniziative che danno centralità e valore al ruolo del paziente esperto, quella persona che convive con una malattia e la conosce talmente bene da poterla insegnare persino ai medici.
O, forse, iniziative del genere ci sono sempre state ma non facevano notizia.

Ma facciamo un passo indietro: chi è il paziente esperto?

Paziente esperto

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E se la vulnerabilità rendesse forti?

Cosa vuol dire vulnerabilità? E cosa, ancora, essere vulnerabili nella malattia?
Come sempre, l’etimologia può essere illuminante.

Dal dizionario Treccani apprendiamo che l’aggettivo vulnerabile deriva dal latino vulnerabĭlis, derivato di vulnerare: ferire.

Chi è vulnerabile è esposto, scoperto, sensibile, può essere ferito con facilità.

Chi si mostra vulnerabile è debole, fragile, indifeso, incapace di proteggersi, dunque può essere attaccato o danneggiato.

Una persona dal carattere vulnerabile si mortifica, offende o deprime facilmente.

A pensarci bene, la vulnerabilità è legata a due emozioni: alla paura di essere feriti da qualcuno o qualcosa proprio perché troppo fragili; all’ansia di dover fare tutto in proprio potere per proteggere l’unica parte forte, non vulnerabile, di sé.

Ce lo insegna la mitologia classica.

Vulnerabilità e forza nella malattia

Vulnerabilità e forza nella malattia

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La medicalizzazione del linguaggio, un fenomeno crescente

Le parole creano mondi, si dice, e così è.

Pensiamo al cosiddetto medicalese: il linguaggio specialistico usato dai medici compreso appieno solo da altri medici e, per questo, fautore di un immaginario che, per secoli, ha collocato i professionisti medico-sanitari tra gli specialisti più rispettati e autorevoli.

Un tempo, andare dal dottore era l’unica occasione per sentire termini medico-scientifici altrimenti assenti in altri contesti quotidiani.

Oggi la tendenza sembra aver subito un’inversione. Le parole del medicalese sono uscite dagli studi medici per farsi strada tra i profani fino a diventare comuni e (abbastanza) comprensibili a tutti (o quasi). Non più relegate alla diagnosi e alla terapia, i vocaboli della cura specialistica sono diventati alla portata di tutti, pronti per essere usati in contesti e da persone così lontani dal mondo medico da subire spesso uno slittamento semantico.

Medicalizzazione della lingua

Medicalizzazione della lingua

Il punto di svolta è segnato dalla diffusione del web e dalla portata di almeno 3 fenomeni:

  1. La necessità da parte dei medici di rendersi più comprensibili per mostrare le proprie competenze ed essere scelti dai potenziali pazienti. Accade, per esempio, nel marketing sanitario.
  2. L’esigenza delle istituzioni di comunicare in modo intelligibile a tutti i cittadini e trasmettere informazioni utili -o indispensabili- per tutelare la salute pubblica oltre che la propria. Si pensi alla divulgazione medico-scientifica durante la pandemia da Covid-19.
  3. Le parole proprie del mondo medico-sanitario sono usate sui social e nelle conversazioni informali e accolte in un’accezione impropria. È il caso di gaslighting o relazione tossica.

La compresenza di questi 3 fenomeni ha delineato la sintomatologia di una crescente medicalizzazione del linguaggio comune.

Lo sforzo di molti specialisti di informare e comunicare in modo sempre più accessibile ha dato a tante persone la presunzione di poter comprendere perfettamente ogni termine medico. La presunta conoscenza del tecnicismo ne ha causato l’aumento delle query di ricerca su Google e, in autonomia e supposta sicurezza, la formulazione di una diagnosi di cui discutere con il proprio medico sentendosi in una posizione paritaria. L’esito è un professionista medico-sanitario che perde autorevolezza ed è percepito come sempre meno meritevole di fiducia. O come un professionista di cui si possono contestare le decisioni: cosa impensabile in passato.

La pandemia da Covid-19 ha reso familiari vocaboli fino a quel momento peculiari di una determinata branca delle scienze biologiche e mediche: la virologia. A tal riguardo, segnalo due dei tanti approfondimenti dedicati al tema del cambiamento linguistico e alla medicalizzazione del linguaggio dovuti al Covid-19: un approfondimento della Treccani con taglio squisitamente linguistico, e una riflessione del Post sui cambiamenti della lingua francese dopo la pandemia, che parte dalla diffusione delle parole della pandemia da Covid-19 per evidenziare i cambiamenti innescati dal linguaggio anche sul piano sociale e ambientale.

Le parole che originano dal linguaggio psicologico sono quelle più usate e trasformate nel linguaggio comune. Un articolo del Time riflette su questo fenomeno, e mostra quanto il divagare sui social di 10 termini propri della psicologia e salute mentale ne abbia alterato il significato nella percezione comune. Un ulteriore approfondimento meritevole di attenzione è quello dell’Accademia della Crusca sulla parola Trigger:cosa ti triggera?” è espressione comune per chiedere “cosa ti fa arrabbiare?”.

Sull’onda di queste riflessioni, penso anche a un passaggio della lezione accademica tenuta dal neuropsichiatra infantile Dott. Stefano Benzoni nell’ambito di Tutto chiede salvezza, la rassegna di Medicina e Medical Humanities presso la Biblioteca della Scuola di Medicina di Bari, lezione a sua volta inserita nel Corso di competenze trasversali in Medicina Narrativa tenuto dalla Prof.ssa Antonia Chiara Scardicchio. Nel suo lungo intervento, il Dott. Benzoni a un certo punto ha detto che al primo incontro con le famiglie fatica a comprendere quale sia davvero il problema dei bambini perché i genitori attribuiscono a termini come ansia o depressione un significato altro rispetto a quello riconosciuto dalla neuropsichiatria (per esempio, dicono con superficialità “mio figlio ha l’ansia, ha la depressione”). Di base, però, usano un linguaggio che riporta una situazione di difficoltà e dolore.

E qui, ancora, mi vengono in mente alcuni passaggi di un libro che sto leggendo: La società senza dolore di Byung-Chul Han. Secondo Han, viviamo in una società palliativa che vuole allontanare la sofferenza, la malattia, il dolore in nome di una perenne positività da esibire per soddisfare il nostro ego.

Ma la negatività non si lascia scacciare dalla vita anzi: più si tenta di anestetizzare anche il minimo dolore, più si diventa ipersensibili e doloranti alla comparsa del minimo disturbo. Una percezione, questa, soggettiva eppure corale al punto da manifestarsi nella società: la società palliativa.

Ecco, forse la medicalizzazione del linguaggio potrebbe essere considerata una manifestazione dei tentativi maldestri di allontanare dalle nostre vite il dolore. Un’estremizzazione del ragionamento? Forse. Ma non posso non pensare alle parole che creano e veicolano mondi: questa è una certezza.

Medicina narrativa, storytelling, brand journalism: l’uso delle storie in sanità

Raccontare storie per informare, comunicare, formare, insegnare; ascoltare storie per apprendere, immedesimarsi, conoscere, crescere. Il fascino del racconto è tale da conquistarci fin dall’infanzia, e il suo essere pervasivo ne fa uno strumento imprescindibile del marketing sanitario come della costruzione del rapporto medico-paziente.

Le storie sono il nucleo della Medicina Narrativa, dello storytelling sanitario e del brand journalism medico-sanitario, con nette differenze di uso e intenti. Vediamo quali.

L'uso delle storie in sanità

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Effetto Dunnig-Kruger o del perché chi non sa crede di sapere

Sul numero di ottobre 2022 de Le Scienze Telmo Pievani – Professore ordinario di Filosofia delle scienze biologiche dell’Università degli Studi di Padova – ha dedicato un articolo alla capacità delle attitudini antiscientifiche di creare illusioni di sapere per troppa fiducia nelle proprie conoscenze.

Credo sia una riflessione meritevole di approfondimento considerato che mai come negli ultimi due anni la scienza è stata centrale nel dibattito di un pubblico sia specialistico che generalista.

Distorsione cognitiva

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Maternità e salute mentale: letture per accettare tutte le emozioni

È difficile che qualcuno racconti con sincerità il senso di solitudine e la fatica fisica e psicologica di essere genitore, in particolar modo madre. La narrazione della maternità è edulcorata da luoghi comuni che vogliono le mamme forti e possibilmente multitasking. La realtà è tutt’altra.

Si fatica ad accettare il binomio maternità-salute mentale eppure, se la depressione post-partum è un evento ormai acclarato, il malessere psicologico vissuto durante la gravidanza e fino circa al primo anno di vita del bambino (periodo perinatale) è oggetto di sempre più numerose ricerche scientifiche.

Se fare la mamma a tempo pieno può essere una condizione psicologicamente spiazzante anche per chi, come me, ha la grande fortuna di avere un compagno interscambiabile tanto nella gestione famigliare quanto nell’accudimento dei figli, vivere una gravidanza nel pieno della pandemia Covid-19 può aver amplificato le fisiologiche preoccupazioni e stress e aver dato il via a un profondo cambiamento di prospettive su più fronti. È ciò che ho vissuto durante la seconda gestazione.

Maternità e salute mentale

Maternità e salute mentale

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Intelligenza Artificiale in salute: un Manifesto per la sanità intelligente

Conosco poco l’Intelligenza Artificiale o Artificial Intelligence (AI) e, proprio per questo, ne sono affascinata e un po’ spaventata. La mia prima domanda ricorrente a riguardo è forse quella di tanti: ma davvero le macchine imiteranno e sostituiranno il cervello umano? Probabilmente, più che una prospettiva è già una realtà. Quel che è certo è che l’AI è più di un robot pensante ed è un tema molto discusso perché è destinata a essere sempre più presente nelle nostre vite.

Non a caso, l’Intelligenza Artificiale è stata al centro del Convegno “L’innovazione al servizio della salute. Verso un manifesto per una sanità “intelligente”, svoltosi lo scorso 23 ottobre e organizzato da I-Com, Istituto per la Competitività, in collaborazione con Cattaneo Zanetto & Co.

A partire da questo punto, mi sono fatta altre domande: come si applica l’AI nella sanità, come agisce in concreto l’Intelligenza Artificiale nella vita quotidiana e come influenza la nostra salute? Le domande sarebbero ancora tante, ma ora ho un quadro più chiaro – e non esaustivo – che riporto in questo articolo.

Intelligenza Artificiale in salute

Intelligenza Artificiale in salute – www.pixabay.com

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Campagne di prevenzione: a chi servono davvero?

È chiaro a tutti da anni: a settembre iniziano i mesi della prevenzione. Dopo le ultime raccomandazioni per affrontare l’afa e i disturbi annessi, con il caldo estivo sembra sospendersi la sorveglianza sulla propria salute per poi riprendere a settembre. Si comincia con la visita dermatologica post tintarella e si prosegue con il mese della prevenzione odontoiatrica, il mese rosa contro il tumore al seno e tante giornate dedicate a una singola malattia. Ben vengano! La domanda è: le campagne di prevenzione sono efficaci? La ricerca medico scientifica, i pazienti, i non pazienti, chi aiutano davvero? Non ho risposte nette ma considerazioni che raggruppo in due categorie: punti di forza e criticità.

Diffusione delle campagne di prevenzione

Diffusione delle campagne di prevenzione – Gratisography.com

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Pazienti si nasce o si diventa. Quali competenze digitali per comunicare col medico

Ci sono malattie che si manifestano alla nascita e altre che arrivano nel corso della vita. Che si nasca o si diventi, essere un paziente costringe a conoscere la propria malattia e a imparare come relazionarsi al medico.

eHealth: comunicazione medico-paziente

eHealth: comunicazione medico-paziente – andreasilenzi.net

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Mai dire Mestruazioni. Un evento naturale tra design e tabù

Jen Lewis è una designer statunitense che ogni mese, durante il ciclo mestruale, raccoglie il sangue in una coppetta e lo versa nel wc dove, a contatto con l’acqua, crea forme sempre diverse e inaspettate. Intanto, Rob Lewis è sempre lì, pronto a fotografare ciò che il sangue mestruale disegna nel water; dopodiché, Rob e Jen scelgono gli scatti migliori e li pubblicano su Menstruaionresearch.org. Si può definire Jen Lewis una designer mestruale e quel che fa insieme a Rob è un atto di ribellione: liberare le donne dal tabù delle mestruazioni.

Rob Lewis, Menstruationresearch.org

Rob Lewis, Menstruationresearch.org

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