La medicalizzazione del linguaggio, un fenomeno crescente

Le parole creano mondi, si dice, e così è.

Pensiamo al cosiddetto medicalese: il linguaggio specialistico usato dai medici compreso appieno solo da altri medici e, per questo, fautore di un immaginario che, per secoli, ha collocato i professionisti medico-sanitari tra gli specialisti più rispettati e autorevoli.

Un tempo, andare dal dottore era l’unica occasione per sentire termini medico-scientifici altrimenti assenti in altri contesti quotidiani.

Oggi la tendenza sembra aver subito un’inversione. Le parole del medicalese sono uscite dagli studi medici per farsi strada tra i profani fino a diventare comuni e (abbastanza) comprensibili a tutti (o quasi). Non più relegate alla diagnosi e alla terapia, i vocaboli della cura specialistica sono diventati alla portata di tutti, pronti per essere usati in contesti e da persone così lontani dal mondo medico da subire spesso uno slittamento semantico.

Medicalizzazione della lingua

Medicalizzazione della lingua

Il punto di svolta è segnato dalla diffusione del web e dalla portata di almeno 3 fenomeni:

  1. La necessità da parte dei medici di rendersi più comprensibili per mostrare le proprie competenze ed essere scelti dai potenziali pazienti. Accade, per esempio, nel marketing sanitario.
  2. L’esigenza delle istituzioni di comunicare in modo intelligibile a tutti i cittadini e trasmettere informazioni utili -o indispensabili- per tutelare la salute pubblica oltre che la propria. Si pensi alla divulgazione medico-scientifica durante la pandemia da Covid-19.
  3. Le parole proprie del mondo medico-sanitario sono usate sui social e nelle conversazioni informali e accolte in un’accezione impropria. È il caso di gaslighting o relazione tossica.

La compresenza di questi 3 fenomeni ha delineato la sintomatologia di una crescente medicalizzazione del linguaggio comune.

Lo sforzo di molti specialisti di informare e comunicare in modo sempre più accessibile ha dato a tante persone la presunzione di poter comprendere perfettamente ogni termine medico. La presunta conoscenza del tecnicismo ne ha causato l’aumento delle query di ricerca su Google e, in autonomia e supposta sicurezza, la formulazione di una diagnosi di cui discutere con il proprio medico sentendosi in una posizione paritaria. L’esito è un professionista medico-sanitario che perde autorevolezza ed è percepito come sempre meno meritevole di fiducia. O come un professionista di cui si possono contestare le decisioni: cosa impensabile in passato.

La pandemia da Covid-19 ha reso familiari vocaboli fino a quel momento peculiari di una determinata branca delle scienze biologiche e mediche: la virologia. A tal riguardo, segnalo due dei tanti approfondimenti dedicati al tema del cambiamento linguistico e alla medicalizzazione del linguaggio dovuti al Covid-19: un approfondimento della Treccani con taglio squisitamente linguistico, e una riflessione del Post sui cambiamenti della lingua francese dopo la pandemia, che parte dalla diffusione delle parole della pandemia da Covid-19 per evidenziare i cambiamenti innescati dal linguaggio anche sul piano sociale e ambientale.

Le parole che originano dal linguaggio psicologico sono quelle più usate e trasformate nel linguaggio comune. Un articolo del Time riflette su questo fenomeno, e mostra quanto il divagare sui social di 10 termini propri della psicologia e salute mentale ne abbia alterato il significato nella percezione comune. Un ulteriore approfondimento meritevole di attenzione è quello dell’Accademia della Crusca sulla parola Trigger:cosa ti triggera?” è espressione comune per chiedere “cosa ti fa arrabbiare?”.

Sull’onda di queste riflessioni, penso anche a un passaggio della lezione accademica tenuta dal neuropsichiatra infantile Dott. Stefano Benzoni nell’ambito di Tutto chiede salvezza, la rassegna di Medicina e Medical Humanities presso la Biblioteca della Scuola di Medicina di Bari, lezione a sua volta inserita nel Corso di competenze trasversali in Medicina Narrativa tenuto dalla Prof.ssa Antonia Chiara Scardicchio. Nel suo lungo intervento, il Dott. Benzoni a un certo punto ha detto che al primo incontro con le famiglie fatica a comprendere quale sia davvero il problema dei bambini perché i genitori attribuiscono a termini come ansia o depressione un significato altro rispetto a quello riconosciuto dalla neuropsichiatria (per esempio, dicono con superficialità “mio figlio ha l’ansia, ha la depressione”). Di base, però, usano un linguaggio che riporta una situazione di difficoltà e dolore.

E qui, ancora, mi vengono in mente alcuni passaggi di un libro che sto leggendo: La società senza dolore di Byung-Chul Han. Secondo Han, viviamo in una società palliativa che vuole allontanare la sofferenza, la malattia, il dolore in nome di una perenne positività da esibire per soddisfare il nostro ego.

Ma la negatività non si lascia scacciare dalla vita anzi: più si tenta di anestetizzare anche il minimo dolore, più si diventa ipersensibili e doloranti alla comparsa del minimo disturbo. Una percezione, questa, soggettiva eppure corale al punto da manifestarsi nella società: la società palliativa.

Ecco, forse la medicalizzazione del linguaggio potrebbe essere considerata una manifestazione dei tentativi maldestri di allontanare dalle nostre vite il dolore. Un’estremizzazione del ragionamento? Forse. Ma non posso non pensare alle parole che creano e veicolano mondi: questa è una certezza.

Pazienti si nasce o si diventa. Quali competenze digitali per comunicare col medico

Ci sono malattie che si manifestano alla nascita e altre che arrivano nel corso della vita. Che si nasca o si diventi, essere un paziente costringe a conoscere la propria malattia e a imparare come relazionarsi al medico.

eHealth: comunicazione medico-paziente

eHealth: comunicazione medico-paziente – andreasilenzi.net

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“Il paziente non è un dente”. Anche se si chiama Corona

Ci sono spot e jingle che fanno la storia della pubblicità perché trasmettono il valore di un prodotto o di un servizio in modo diretto, inequivocabile e veritiero, spesso anche grazie a un testimonial autorevole. Se ciò è vero, mi chiedo perché il video promozionale dello Studio odontoiatrico Cannizzo di Milano con protagonista Fabrizio Corona abbia riscosso tanto successo da aver avuto oltre 222mila visualizzazioni in una settimana, dato da aggiornare già ora che ne sto scrivendo. La seconda domanda sorge spontanea: perché uno studio di odontoiatri affermati ha barattato la propria professionalità per avere facile successo mediatico e, forse, nient’altro?

Fabrizio Corona con l'équipe dello Studio odontoiatrico Cannizzo

Fabrizio Corona con l’équipe dello Studio odontoiatrico Cannizzo

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Come e perché i Big data aiutano la salute e la sanità

I Big data rivoluzionano la sanità e il nostro modo di vivere la salute, per questo è necessaria una nuova organizzazione della gestione sanitaria e una maggiore consapevolezza del paziente che usa dispositivi tecnologici preposti al monitoraggio del proprio benessere.

È questo il messaggio comune degli interventi che dal 16 al 20 novembre si sono succeduti a Tecnopolis, il Parco scientifico e tecnologico di Bari, in occasione della Technological SMEs for the health Industry. Io ho seguito dal vivo la giornata dedicata all’uso dei Big data in sanità, e questo post nasce dall’ascolto di ricercatori e medici relatori.

Connessioni che creano Big data in sanità

Big data in sanità – gratisography.com

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Vi vedo pallidi. Lo strano caso dell’obitorio su Instagram

Nicole Angemi è un’assistente patologa, il suo account Instagram è @mrs_angemi e ha una missione: far conoscere il corpo umano attraverso le foto degli organi dei cadaveri che disseziona. È giusto? È etico? E soprattutto perché, ad oggi, 168mila persone la seguono? Prima di rispondere, permettetemi di raccontarvi un’altra storia.

Nicole Angemi, patologa su Instagram

Nicole Angemi, la patologa che ha portato l’obitorio su Instagram

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Più che di salute, parliamo di malattia

C’è un modo infallibile per parlare di salute: parlare di malattia.
Anche l’acciacco improvviso e un disturbo insistente possono diventare malattia se, un giorno dopo l’altro, il pensiero è sempre lì e lo si condivide con un famigliare, un vicino di casa, uno sconosciuto sul tram.

Parlare di malattia e salute

Parlare di malattia e salute – Charlie Foster

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Medici che temono il web

Il web è il paradiso per i pazienti che cercano risposte e confronto su tematiche di salute e benessere, e lo è anche per i medici che vogliono essere sempre utili e, perché no, farsi pubblicità. È ovvio! E invece no. Ci sono dottori che di stare online proprio non vogliono saperne. Breve panoramica dei medici online e di quelli che temono il web.

Medici che temono il web

Medici che temono il web

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La vita inattesa della malattia

Una vita inattesa da vivere tutta. Potrebbe essere questa la sintesi di due progetti correlati di digital health e Medicina narrativa. Sto parlando di Viverla tutta promossa da Pfitzer e de La vita inattesa edito da Rizzoli-Lizard. Cos’hanno in comune? Entrambi nascono dalle storie di malattia.

La vita inattesa

La vita inattesa. Grafic novel edito da Rizzoli-Lizard

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Pubblica, blogga, Twitta. Essere scienziati al tempo dei social

Stai leggendo il primo guest post di Scrivere di salute, e io ne sono molto contenta anche perché questo articolo è frutto di una conoscenza nata online, sui social network, per essere precisi su Google Plus. Lo ha scritto Andrea Robotti, un redattore scientifico approdato sul web dopo anni di studio e lavoro come ricercatore in ambito biomedico. Dunque: un ricercatore incontra una web writer chiacchierando su Google Plus e, dopo un +1 e un accerchiamento, nasce l’idea di raccontare per SDS Pubblica, Blogga, Twitta. Fare carriera nella scienza, il convegno tenutosi a Padova il 2-3 ottobre nell’ambito del Master in Comunicazione delle Scienze. Questo è il racconto di Andrea. Continua la lettura

#FateVedereLeTette… a un medico

Il fiocco rosa sul petto delle donne ci ricorda che ottobre è il mese della prevenzione e della lotta contro il tumore al seno, e che in questi giorni in tutta Italia ci sono incontri, iniziative e soprattutto visite di controllo gratuite. Da anni, associazioni autorevoli come la LILT, solo per citare la più nota, promuovono la cultura della prevenzione con la diffusione di brochure informative, interviste agli oncologi e motivando la necessità di uno screening periodico. Per raggiungere l’obiettivo, è innegabile il ruolo svolto dai siti web e dai social network, in molti casi determinanti per amplificare il messaggio della prevenzione oncologica al seno e generare una sorta di effetto eco per cui, se una donna ha fatto visita, mammografia e screening, altre donne faranno lo stesso perché incoraggiate dal buon esempio. Quest’anno, in un contesto così virtuoso, all’improvviso è arrivato l’hashtag #FateVedereLeTette che di seguito indicherò con l’acronimo #FVLT. Continua la lettura