Più che di salute, parliamo di malattia

C’è un modo infallibile per parlare di salute: parlare di malattia.
Anche l’acciacco improvviso e un disturbo insistente possono diventare malattia se, un giorno dopo l’altro, il pensiero è sempre lì e lo si condivide con un famigliare, un vicino di casa, uno sconosciuto sul tram.

Parlare di malattia e salute

Parlare di malattia e salute – Charlie Foster

Il web è lo specchio dei nostri bisogni e interessi, potremmo dire che è l’amplificatore naturale delle conversazioni offline. Noi italiani, per esempio, alla fine andiamo a parare sempre lì: cibo e salute. Allora non è un caso che, stando al Monitor Biomedico 2014 del Censis, il 41,7& degli italiani cerca su internet temi legati alla salute e alla malattia. Il dato che più mi ha incuriosito è questo: il 54% degli italiani che si informa online teme di confondersi o ricordare male perché l’accesso a dati, numeri, interviste e approfondimenti è così ampio e semplice da creare, appunto, confusione. È uno degli effetti della sovrabbondanza che genera, per esempio, l’apparente paradosso per cui per ricordare bisogna dimenticare.

Conforta sapere che noi italiani ci fidiamo dei medici e seguiamo in modo scrupoloso le terapia. Sì, ma lo fa solo chi convive con una malattia grave (nel 90% dei casi); invece, il 57% di chi deve tenere a bada un male minore opta per l’autogestione e decide da sé come e quando curarsi. Il risultato è la mancata compliance, cioè la non adesione del paziente alle prescrizioni mediche. Eppure una soluzione ci sarebbe, si potrebbe tentare con una semplice domanda da 2 secondi come suggerisce Francesca Memini.

A questo punto il vero quesito è: perché ci fidiamo di Google quando potremmo affidarci al medico? Pressappoco è la stessa cosa che si è chiesta Cristina Cenci, autrice dell’articolo Storie digitali: perché ci fidiamo di Google. L’editoriale merita un’attenta lettura, e dei concetti espressi uno tra tutti, secondo me, spicca:

Ci fidiamo perché google ha “un’empatia clinica” che stentiamo a trovare nel medico. Trovo online racconti del mio disagio che lo fotografano esattamente come lo sento e non come lo descrive il medico. Raramente “sento di avere” quello che il medico dice. Molto spesso ho quello che un altro ha descritto online.

Non so a voi, ma a me questa pare l’ennesima conferma di quanto gli operatori sanitari debbano imparare a non temere il web ma, al contrario, a viverlo come un mezzo per incontrare e capire le persone, i pazienti.

La fonte dei dati è il Monitor Biomedico 2014 del Censins, link presente nel post.

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